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Pure la Débacle deve scuotere; è impossibile che non scuota. Mentre si parla della necessità del disarmo ed echeggiano ancora le voci che nei congressi domandano la pace, mentre ancora per l’aria vola come un fragrante fior di gelsomino un volumetto scritto per la buona causa da un’aristocratica mano femminile, e sottovoce ne implorano il trionfo milioni di cuori, e un vecchio Slavo sogna, con la pace, di rinnovare il mondo, ecco un brusco e involontario cambiamento di sistema, ecco la malattia curata omeopaticamente, ecco lo Zola a dimostrarci che la guerra è non solo necessaria ma salutare, ma provvidenziale, come un rimedio energico contro la putredine delle nazioni. Mi par di ricordare che il libro dovesse intitolarsi «La Saignée» — titolo che ai simbolisti sarebbe piaciuto di più e che avrebbe forse meglio sintetizzato lo spirito, non voglio dire l’intento, del volume. Débacle, «lo scioglimento — lo sgombero — la catastrofe» è meno brutale, meno... Zoliano. Del resto è con compiacenza che qui noto come il Maestro accenni a sbrattare la sua arte che resta così di un sincero e sano naturalismo ben degna di esser madre di un’arte nuova ideale. In seicentotrentasei pagine fitte non ve n’ha una che obblighi la signora che legge a velarsi la faccia; e, come osserva acutamente il Depanis nel suo sagace articolo della Gazzetta Letteraria, questa volta non bisogna attribuire la straordinaria tiratura delle copie a una ragione di pornografia.
No; la ragione, grazie a Dio, è affatto spirituale. Nessuno più ignora che il romanzo dello Zola è tramato sulla guerra franco-prussiana; si può dire anzi che romanzo non c’è: sono episodi, macchiette, figure che aiutano a ricostruire dilettevolmente e