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fusa al suo spirito e che lo fa avido di comprendere, di spaziare, d’innalzarsi:

In alto, in alto! all’etere
Padre al fecondo sole
Sorge ed inconscia palpita
Ogni vivente prole;
O che da germe cieco
Sbocci o da grembo, o come verde smalto
Erbeggi in prato, o induri in selva: o libera
Discorra e voli, o bosco abiti o speco,
Sempre dovunque un’intima
Legge la chiama e la sospinge in alto.
Manda la terra gli umidi
Fumi dal seno, ond’hanno
Nubi di vita gravide
Gli astri al mutar dell’anno.
Desti al gagliardo attrito
Di secchi tronchi e resinose tede
Guizzan dal foco gl’inquieti spiriti
Ubbidienti ad un supremo invito;
E, fiamma anch’essa, l’anima
Lingueggia ardente ad un’eterea sede
. . . . . . . . . . . .

Ho finito per oggi, amabilissime. Non crediate però ch’io abbia inteso di farvi una rassegna del bel libro, nè che vi abbia comunicato tutte le mie impressioni. Mi mancano il sapere e lo spazio; due cose, vedete, essenziali. Ho solamente desiderato che conosciate un po’ più del titolo d’un’opera che fa onore all’Italia. Vi ho attinto per voi delle gemme, sì, ma molte altre ricchezze riposano nel fondo di quel piccolo mare. Un vero mare, con le sue glauche trasparenze, i suoi scogli, i suoi mostri, le sue perle, le sue falangi di deità invisibili, e le sue carcasse umane, la sua sinfonia di voci, e il gemito eterno d’un titanico dolore...