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di Giobbe cantano. Leggiadrissime canzoni cantano. Udite questa di Zilpa, l’invincibile;

Un paese conosco ove non ride
Caldo e raggiante il sole;
Ma quanto infido è il Sol, tanto son fide
L’anime e le parole.

Ivi oceani non son, non son vulcani,
Nè abissi il suol nasconde;
Non fiamme d’amorosi impeti umani
Non mar d’ire profonde:

Ma deserti di fiori entro una blanda
Fascia di nivea luna,
Laghi a cui fan gli azzurri ampia ghirlanda
Senz’onda ed aura alcuna.

In palazzi d’opale e di coralli,
Avvolte in roseo velo
Pallide giovinette intesson balli
In fra la terra e il cielo.

In fra la terra e il ciel, come fragranza
Che il freddo aere molce,
S’alza un canto di pace e di speranza
Monotono ma dolce.

Oh fratel mio, tal rigido paese
È qui dentro il mio core:
O amico e difensor bello e cortese,
Io non conosco amore.

La seconda parte del poema è tutta occupata da una visione di Giobbe. È rigidamente ascetica. Simboleggia, parmi, il periodo di cieca fede del pensiero umano — l’età dei martiri, dei crociati, dei santi. C’è un intermezzo composto di laudi — le laudi sacre che, nel secolo decimoterzo, pie compagnie d’uomini e di fanciulli, di nobili e di plebei, accesi