Noderoso ingiallir presso ai vermigli
Grappi del mite tamarindo il forte
Pomo cidonio, che serbato il verno
Rustici alberghi e vestimenti odora.
Ecco non lungi dal cireneo olivo,
Il sesamo oleoso; ecco l’opimo
Alve di Socotôra, che la sete
Smorza del sobrio camello; il sicomoro
Dalle bacche turchine e il tamerice,
A cui flessili e folti a par di crini
Piovono i rami dall’amaro tronco,
Che le febbri cocenti in fuga volge.
Nè te, ritrosa sensitiva, a cui
La vereconda vergine somiglia,
Avea pure scordato il buon cultore:
Nè voi, piante felici, ond’uom distilla
Manne vitali e preziosi aromi;
Con l’acacia del Nil sorgon confusi
I cinnami fragranti; si pompeggia
Nel color aspro delle sue corolle
Il selvatico grogo: odora il nardo
Dalle storte radici, in quel che presso
Agli olibani pii gemon le rame
Del balsamo superbo e i provocati
Pianti avviva di dolci iridi il sole.
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Dopo questa evocazione d’un cantuccio fortunato della biblica Arabia, dopo gli aromi e il fogliame, eccovi un quadretto asiatico di genere.
Anna la vecchia nutrice di una delle nuore di Giobbe, e un’ancella, s’accingono a fare il pane. Mi pare una scena dell’Odissea:
.... Mentre in queste memorie s’avvolgea
La vecchiarella, e dava esca alla fiamma
Che sorgea scoppiettando e le nodose
Braccia arrossiale e la rugosa guancia,
Una serva robusta entro capace
Madia su quattro saldi piedi eretta,
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