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tengono pure due poemi precedenti: «La palingenesi» ed il «Lucifero»; ed è a sua volta una trilogia. Sebbene nella prima parte vi siano colorite magistralmente e la vita patriarcale e le sciagure che fecero passare in proverbio la pazienza del virtuoso servo di Dio, Giobbe non è qui che un simbolo adombrante il pensiero umano nel suo faticoso e doloroso errare in cerca della pace.

Un fare largo, vigoroso, a rilievi, a sfumature; una sobrietà classica, un’elasticità di idee rivestite sempre opportunamente, un’arte delicata e insieme profonda, e su tutto un riflesso vivido del sole di mezzogiorno: quel mezzogiorno benedetto che ci dà i fiori più profumati e i frutti e gli ingegni più saporosi; — ecco la musa di Mario Rapisardi. Una Musa dalle forme opulente e dal profilo fine e pensoso, come certe figure del Guercino.

Leggiamo insieme la descrizione dei giardini di Giobbe:

.... E da un lato i giocondi orti feraci
Di molti erbaggi festeggianti il sole
Con lor varie verdure, offrian sovente
Se non lauto, alle cene ampio tributo;
Fiorivano dall’altro i bei giardini
Delle case delizia. Ivi precoce
Mandorlo accanto il zèfiro blandisce
L’odorato albicocco; in tra le scure
Foglie nevate di recenti fiori
S’impiattano le arance; dipende
Dal torto ramo il languidetto fico,
Che lacero la buccia e in bocca il miele
Primo seduce il passerel furtivo.
Vedi su l’orlo delle pale irsute
Schierar le frutta l’indico banano,
Dolci frutta alla lingua, orride al tatto.
Di cui tanto il nativo Etna s’allegra;