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qualche sua poesia non dobbiamo dimenticarlo, non dobbiamo dimenticare che stiamo osservando un sol raggio, un solo colore di questo versatile intelletto. Pensiamoci anche se ci urta talvolta in questi versi un po’ di quel dilettantismo mondano nel quale ahimè si crogiolano pure tanti poetini e poetucoli che poi in fin dei conti non sono capaci di fare che i canterini. La penna della Contessa Lara è sopratutto elegante, spesso arguta, molte volte ardente, sempre aristocratica. Il dolore, la mestizia, l’angoscia non effonde in elegie sentimentali, o in quelle tirate romantiche che rinviliscono sotto mentito profumo femminile la nostra letteratura agli occhi della più sapiente metà del genere umano; quando la sua anima è intorbidata, o ferita, o dolente, ella non ce lo dice, ma noi lo intendiamo meglio che se ce lo dicesse. Ella sente forse nella vita, certo nell’arte, la dignità del dolore. Ancora: è raffinatissima, ma non mai sino al decadentismo o alla morbosità; ama le cose belle, la forma più che l’essenza delle cose ma l’ama tanto che sovente giunge a toccarci l’anima non per l’intensità, ma per il rapimento della sua contemplazione. Confonde anche talora la sensazione col sentimento, talora la preferisce apertamente, essendo sempre ed anzitutto schietta con sè e con noi, anche a costo di parer cruda o di dispiacere. La sua è la sincerità delle spine sotto il profumo delle acacie o ai piedi della fiorente venustà delle rose. Un’arma contro la soverchia debolezza, una difesa.

Mi piace di cominciare con questo Ultimo sogno che potrebbe essere il primo di molta giovinezza. C’è un onesto languore e una vaghezza di sfumature tutta femminea.