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che Lei, soave bionda, ha una viola del pensiero in mezzo alla «Partita a scacchi?...» E Lei, signorina bruna, non rivolge da più di un anno gli occhi nerissimi a quella piccola costellazione di gaggie caduta chissà come nella lizza fra il torneo del «Marco Visconti?...» E quell’altra fanciulla malinconica dalle scendenti treccie castane che piange sullo sventurato amore di Gaspara Stampa, non sorride al fior d’eliotropio che un giorno fosco posò proprio sul sonetto cinquantaquattresimo?.. E infine tu, Gabriella, rosea sorellina mia, che cosa nascondi dunque fra le «Lettere a Maria» dell’Aleardi che veggo continuamente sul tuo tavolino?... Ebbene, che importa? Macchiate i libri di lacrime e di fiori fanciulle, ma serbatevi, oh serbatevi anche fra il tumulto sgarbato della vita le vestali gentili delle corolle morte e dei sentimenti immortali.
Quanti preamboli per dirvi che io idolatravo il De Amicis! E non lo idolatravo specialmente nei Bozzetti militari nei Racconti, nelle Poesie, ma nelle Pagine sparse, dove la mia anima di scribacchina sedicenne trovava qualche lembo da rispecchiarsi, da afferrarsi, da raccogliersi prima di tentare il gran volo... E mi ricordo che quando fu accolto il mio primo bozzetto nella Palestra delle giovinette (in questo stesso giornale) io non sapendo più come manifestare la riconoscenza che sentivo vivissima per quel mio duce invisibile mi slanciai sulle Pagine sparse e scrissi in fretta sul frontespizio — ebbi questo coraggio! — la famosa terzina dantesca:
Tu se’ lo mio maestro e lo mio autore...
Oh beate lenti de’ sedici anni!
Vi presento dunque oggi con affetto memore