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genza della forma che i vecchi e sommi maestri m’appresero ad adorare: ma vivendo adesso con lui qualche ora d’intimità spirituale, la fragile e fresca flora di quell’anima di poeta ha adornato la mia anima d’un’insolita primavera, una primavera mite e triste come veduta tra i languori della convalescenza...

Ah quante fantasie mi susciterebbe ancora il pallido cantore! Ma lo spazio incalza: non c’è più posto che per un’ultima nota — la nota eloquentissima d’un sentimento femminile. Essa vibra nella raccoltina che ha il grazioso titolo di Domus-Mundus:

La bella mano gli posò sul crine
E disse: — io vedo il tuo serto di spine
E sento l’onda che hai qui dentro ascosa,
O mio dolce poeta, e son gelosa!

Son gelosa de’ tuoi vaghi dolori,
Delle tue belle vendemmie di fiori,
Sono gelosa della fantasia
Che ti dilunga dalla soglia mia...

          . . . . . . . . . .
          Non vedi? son pallida
          Son tacita anch’io;
          Perchè quando a vespero
          Favello con Dio,
          Mi guardi nel viso
          Con mesto sorriso?

Io mi affiso lassù, tu in basso guati;
Io mi faccio gentil, tu ti fai strano....
Oh dove sono i dì volati,
I dì che insieme viaggiavam lontano?