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obbligati a darsi alla vita più dissoluta e più bizzarra, per la sola ragione che essendo artisti, era necessario scostarsi in qualche modo dagli altri uomini. Era come un privilegio della casta, un’affermazione e una necessità del mestiere: ma per emergere s’impantanavano. Cominciavano dal vino, passavano all’oppio e all’haschich e finivano coll’assenzio. Sciatti, disordinati, incolti, sgarbati per progetto, spesso brutali. Gente poco piacevole, come vedete. Pure era convenuto che fossero così e si rispettavano, precisamente come quei famosi santi della Turchia; certuni anzi li esaltavano.... sempre come in Turchia. Apro la prefazione alle Trasparenze del Praga e subito c’è un signore che mi avverte con piglio severo che «Il poeta, l’uomo di genio, non può essere giudicato alla stregua del volgare galantuomo....» Dunque attente signorine! Il poeta e l’uomo di genio da una parte e i galantuomini dall’altra. E che non nascano confusioni per carità....

Per buona ventura delle signore, però, quella razza non ha durato molto. Ora se restano dei bohémiens sono giudicati codini. I poeti moderni sono tutte persone serie, studiose, cortesi, ordinate, tranquille: alcuni giungono perfino a cantare le loro mogli e la loro casa; due cose che per gli altri non esistevano...

Ma per Emilio Praga si. Strano amalgama di fango e di raggi! Accanto alle oscenità egli esalta la cosa più pura e più bella; il bambino, il suo bambino; la più soave: la casa sua. Una pesante nostalgia l’opprime: quella del buono, del vero, del sano, del semplice, dell’onesto. Questo dissoluto ha qualche volta accenti di così dimessa mestizia, di così ingenuo tripudio, che intenerisce e sorprende.