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Primavera spuntava, e sur un lembo
Sedea dell’arca una fanciulla bionda,
Che piene avea di fior la mani e il grembo.
Oh, come bella e contegnosa, oh come
Era pura e gentil, cinta d’un lieve
Immacolato lin, sparse le chiome
Di lucid’oro sopra il sen di neve!

Le sembianze le ombrava una serena
Melanconia che le facea più belle;
Non era il riso suo cosa terrena.
Splendevan gli occhi suoi come due stelle.
Levò le ciglia, e con benigno riso
Disse: Credevi tu ch’io fossi morta?
Onde tanto stupor? guardami in viso;
Se morta fui, vedi che son risorta.
E veggendomi star muto e sospeso
Com’uom cui falso immaginar disvia,
Soggiunse: Hai dunque l’intelletto offeso,
Che non conosci più la Poesia?

. . . . . . . . . . . .


Scomparsa la visione amata e gentile, che proprio mi piange il cuore di rappresentarvi mutilata così, il Graf nel Post mortem ci dà una vaga fantasia macabra, ammorbidita da una verdezza melanconica di un paesaggio di ricordo, e della melodia suggestiva d’una vecchia musica mèmore. Di questo non posso proprio darvi che gli ultimi tocchi, ma vi sarà possibile, credo, giudicare da essi della bellezza indescrivibile dell’intero componimento:

. . . . . . . . . . . .

Da un vol di nubi candide e leggiere
In quel grande silenzio, in quell’immensa pace,
Lieve come un sospiro un venticel si scioglie
E cessa e poi riprende, così lieve e fugace
          Che appena fa rabbrividir le foglie.