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innamorai delle sue poesie trovandole qua e là, solitarie e luminose, come gemme di gran valore che non hanno bisogno di esser aggruppate nè rilegate per suscitare l’ammirazione. Ognuna nella sua vergine e forte limpidezza vale mezza dozzina, e più se volete, di quegli elzeviri che furono una vera e nuova invasione barbarica per la povera Italia, pochi anni or sono. Mi dicono che è vano cercare l’indole vera dell’individuo nella produzione artistica che cause varie e infinite possono informare; cercare l’uomo nel poeta è poi — si aggiunge — una completa stoltezza. Pure io non posso impedirmi di trovare rispecchiata nella bella e armonica poesia del Graf la figura giovanilmente severa dell’autore, nella sua corretta e sobria eleganza di linguaggio, nel suo mirabile, ed, ahimè, raro equilibrio della mente e del cuore. Ci vedo perfino un riflesso della sua Atene nativa, delle selvose solitudini rumene dove studiò, dell’ardente e azzurra Napoli che prima applaudì al novello dottore. Arturo Graf è ora l’idolo della studiosa gioventù piemontese che perfino giunse a nuocergli per troppo zelo nella difesa d’alcune teorie letterarie del suo professore. Che esempio per certi studenti!...

Ecco il primo fiore di questo poeta, che s’incontra nel mio verziere:

NINFEA

Un soave mattin di primavera
Un luminoso ciel come di seta,
Su per il monte l’antica pineta
Immobilmente taciturna e nera.