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E andavan. Lieta col diurno raggio
La vita delle cose erasi desta,
Venìa dai campi un dolce odor di maggio
E giù dai rami un cantico di festa.

I cavalieri soffermârsi innante
A una casetta solitaria e bella,
D’edera e di glicinia verdeggiante;
Ritta al balcon guardava una donzella.

Una donzella, di beltà un tesoro,
Che avea negli occhi un vago incantamento;
Traea la chioma ad una rocca d’oro,
Brillava il fuso come puro argento.

E mandava per l’aria una canzone
Che ognun dei cavalieri al cor ferì:
Ma un di essi ratto calò dall’arcione
Disse: «compagni, addio; mi fermo quì».

E i due rimasti seguitâr la via
Esalando il rammarco in sospir vani;
Era l’aria infocata, il sol ferìa
La strada polverosa e i vasti piani.

Suona a un tratto, da lunge ai viandanti
Un gran clangore di trombe guerriere,
Slargano i due corsier le nari ansanti
Drizzan gli orecchi e squassan le criniere.

Poi sorge in vista una città turrita
Circondata da folto accampamento;
Erge fiero l’assedio ogni bastita
Tutte le tende han le bandiere al vento.

E i due guardâro al combattuto vallo
E un fremito di pugna ambo assalì....
Ma un d’essi spronò forte il suo cavallo
Disse: «compagno, addio; mi fermo qui»

E il terzo cavalier tacito e solo
La via prosegue fin che il dì s’oscura
Poi soverchiando la piena del duolo,
Comincia a lamentar la sua sventura.