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Piccolo intermezzo in prosa.

«.... dal dolore, dal solo dolore nascono le grandi cose, e sorgono i forti caratteri come il fiore dalla spina. Nella gioia l’uomo è sbadato, imprevidente, infecondo; le belle qualità dell’animo e della mente, non sono o non si palesano negli uomini felici: una sventura le fa scintillare, come l’acciaio, la pietra focaia».


III.

In un volumetto abbastanza dozzinale sui poeti bolognesi trovo però questa felice similitudine, o meglio, questa giusta intuizione di due caratteri diversi in poesia: «Il Carducci è armonioso, il Panzacchi melodioso, il primo è il poeta classico per eccellenza, il secondo è il poeta romantico, ma questi due aggettivi nel senso alto, vero, esatto della parola». L’essenza, se non la frase, era questa. Di mio vorrei aggiungere che Enrico Panzacchi canta sempre in tono minore come l’usignolo e come usò di preferenza il Bellini. Le sue liriche sono tutte come i fiori del pensiero, bellezze meste e memori — tutte — anche quelle che non ricordano, poichè rievocano non so quali voci dolorose e antiche di naufraghi; tutte le voci che pregarono e piansero e disperarono e si sommersero in un infinito di azzurro e di passato. È come una resurrezione fittizia e melanconica di parvenze a cui sia permesso, come