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Oh mia opulenta campagna latina! È te che penso, te che mi verdeggi innanzi alle pupille dell’anima, piana, regolare, monotona, grandiosa nell’altissimo silenzio degli accesi vespri sereni! Quanta pace mi ha dato sempre la dignità classica della tua terra! quante volte ho indugiato a contemplare i bovi aggiogati al magnifico aratro a dozzine, biancheggianti sulle zolle scure dai riflessi d’acciaio! Il sistro tinniva piantato ritto sui gioghi, e il villano incitava ad alte voci lente dicendo dei nomi cavallereschi e favolosi che svanivano nel vasto cielo come echi di un secolo lontano che non vuol essere dimenticato....

Oh le sublimi fantasie che errano con le nubi occidue sulla mia dolce terra, là fra «’l Po, il monte, la marina e ’l Reno!....»

E poichè vi ho trascinate nel regno delle favole restiamoci un poco. Vedete? passa sul nostro capo la più industre tra le fate:

MORGANA

Or tremule, sui monti e su le arene,
crescon ne la lunare alba le imagi;
materiati d’oro alti palagi
e torri ingenti assai più che Pirene.

Salgono scale in luminose ambagi
con inteste di fior lunghe catene.
Come navi in balia de le sirene,
ondeggiano le pendule compagi;

poi che Morgana, in dolce atto giacente
ne ’l letto de la nube solitaria,
quasi ebra di quel suo divin lavoro,

ama seguendo un carme ne la mente,
cullare da le man languide a l’aria
la città da le mille scale d’oro.