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Bisogna aver vagato estasiati dentro quel grande gioiello bizantino, bisogna averne avuto il cuore penetrato e la mente abbagliata sino all’emozione, per intendere tutta la sapienza gentile, la giustezza ideale della similitudine. Proprio così: ombra e oro, come una di quelle favolose tele rabescate, che le fate nascondevano in una nocciuola; ecco la trama lieve e tutta, direi, interna, delle creazioni di Antonio Fogazzaro, ordita nel mistero religioso del cuore, che l’arte sua rispecchia fedelmente. Anche là l’amore resta nascosto nel sancta-sanctorum dell’arca santa, tanto nascosto e tanto lungamente invisibile, che qualche volta le pene che soffrono le creature per lui ci sembrano solo l’incombere di un fato affannoso senza leggi e senza speranza di liberazione.

Nel piccolo albo trovo anche questa poesia che trascrissi, mi pare, da Valsolda. Qui riconosciamo un poco l’innamorato di Violet e qui la nota personale del poeta insiste con più evidenza:

. . . . . . . . . .
Mi grandeggia ne l’ombre de la sera
La vôta stanza. Fuor da ogni finestra
Nel chiaror de le nebbie il lago appare
Quale deserto, sconfinato mare.

Uscir vorrei per questo mar deserto,
Navigar solo, navigar lontano,
E, spenta la veduta d’ogni sponda,
Abbandonarmi a’ miei pensieri e all’onda.

All’aperto uscirebbero i fantasmi
Che più gelosamente il cor nasconde;
Io sederei a poppa ed essi a prora;
Senza parlar ci guarderemmo allora.