Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
— 164 — |
scondono: e gli angeli sono umani e pii, e il poeta pagano ha il cuore oppresso dal divieto supremo e il poeta cristiano l’anima anelante alla sua diletta che gli sarà concessa per lo spazio di un sogno... Se la Divina Commedia è la Bibbia degli Italiani, questo è veramente il salmo dei dolenti — giacchè per sentirne riflesse nello spirito le verità, le consolazioni alte, le bellezze, bisogna avere faticato su per l’erta della vita fra le lagrime e i pesi e il fuoco, come l’Alighieri in ispirito sul mite Calvario...
Ma invece delle mie insufficienti manifestazioni sarà più opportuno riportare un brano della meritoria operetta del Capovilla per dimostrarne meglio il valore e l’utilità. Scelgo a caso:
«Era già l’ora, che ai naviganti, nel dì in cui hanno detto addio ai dolci amici, volge il desiderio verso la patria e intenerisce il cuore: e che piange d’amore il nuovo esule s’egli ode alcuna campana di lontano, che paia piangere il giorno che si muore. Quando Dante incominciò a mirare una di quelle anime, che levatesi in piedi, colla mano chiedeva alle altre che la ascoltassero. Ella giunse, ed alzò ambe le palme, fissando gli occhi verso l’oriente, così come dicesse a Dio: «D’altro non mi cale che di Te, Signore!» Poi le uscì di bocca: — Te lucis ante (Prima che termini la luce; inno della chiesa a difender l’anima dalle tentazioni notturne) devotamente e con note dolcissime. E le altre anime, colla medesima dolcezza e devozione, l’accompagnarono per l’inno intiero, tenendo gli occhi al cielo. Poi taciti guardavano in su come aspettando.»
Se lo spazio me lo concedesse vorrei trascrivere molto di più, ma dal brevissimo saggio ognuno può farsi un’idea dell’intero lavoro. Io chiamo queste opere: opere buone.