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Opere buone
In mezzo a tanta faraggine di produzione letteraria scipita o dannosa — e, in un’altra categoria insufficiente o pedante, alleggerisce proprio l’anima, d’imbattersi in qualche volumetto nel quale l’intento di giovare sia vero e serio come il valore dell’opera: nel quale si trovi un ingegno che rinunzia a qualche pompa di vanità più effimera ma più abbagliante, a qualche soddisfazione più egoistica e più intera, per immedesimarsi nel pensiero di qualche grande e farlo scintillare nella luce più chiara e divulgarlo come un verbo di bellezza pel mondo. Sono apostoli dell’arte, nelle loro rinunzie, nel loro ardore, nella loro fede. Fra costoro stanno i traduttori valenti com’era il Maffei, come è ora il Sanfelice per lo Shelley, il de Gubernatis e il Pizzi per le letterature orientali; i ricostruttori del passato come il Ricci, il Masi, e così via.
Ci sono gli studi danteschi. Mai, s’è detto, il nostro maggior poeta è stato più letto, più studiato, più commentato che nel nostro secolo che conta della Divina Commedia il maggior numero d’edizioni: ed, oltre gl’innumerevoli studi, giornali e pubblicazioni speciali.
Eppure a nessuno, con tanto «divenir macri» alla nostra volta per intender ciò su cui il poeta af-