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quando un nitido e snello fascicolo, fregiato d’un nome che mi è caro, è venuto, ha parlato, mi ha intenerita.... La causa è vinta. Chi ha ingegno vivo e originale, chi è poeta vero, scriva, scriva sempre; scriva per chi nasce, per chi muore, per chi ama, e Dio lo benedica. Se è poeta vero, se ha caldo lume d’ingegno, uscirà sano e salvo dalle pastoie e dalla banalità; saprà trovare la nota sentita e soave a cui il cuore risponde, le fantasie leggiere che si traggono lo spirito seco. Così ha fatto Elda Gianelli, nome che nella nostra letteratura oramai suona forza e armonia. Nella civettuola eleganza dei tipi del Balestra di Trieste, ella dedica a un’amica che si fa sposa, undici sonetti che, a parte la fattura squisita, racchiudono tutto ciò che di più radioso e tenero e soave possiede un’anima di donna quando la mente la illumina e detta Amore. Alla fanciulla che sta sulla soglia della vita nuova, nel solenne e pauroso momento in cui si sommerge il passato e non emerge ancora l’avvenire, parlano le cose con una delicatezza semplice e pagana. Essa trepida ascolta: sono le voci buone, le voci protettrici della sua adolescenza, gli addii supremi e mesti della sua prima vita che muore. Tutto vuol richiamarsi al pensiero di lei: e i «fantasmi vaghi della mente giovinetta» e il primo raggio di amore; e la casa dolce che l’ha difesa, come il cristallo la fiamma, da ogni alito impuro; e i libri che riunirono due giovani teste amorose, e il ricamo che riuniva i pensieri, e il pianoforte che faceva battere all’unisono i cuori: e dalle piante memori, dal letto verginale su cui scesero i sogni, dai «buoni alberi amici», dalle conscie sabbie dei viali, piovono saluti sorrisi di propiziazione alla fidanzata