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più. E la donna che in uno slancio più inconsulto che generoso viene a domandar conforto a lui che pareva averla dimenticata, non sa poi affermare coraggiosamente il suo amore, reagire contro la fine del suo sogno, contro le fosche malinconie dell’amato, farsi la sua salvezza, il suo angelo custode per sempre.

Rientrando sotto il tetto coniugale, vilmente, presso l’uomo che non stima più, che non ama, che ha ingannato, il soffio di passione che poteva essere grandioso se non puro, si spenge nell’adulterio volgare.

Una pena trista pare incombere su questa coppia gentile ed amante dal principio del libro sino alla fine, quella di amarsi per lasciarsi, per dimostrare non la fugacità ma l’inutilità dell’amore...

Una figura di secondo ordine, ma vigorosa e simpatica è quella di Giacomo, l’amico di Filippo, che ha delle teorie tutte sue, originali e profonde, sulla vita e sull’amore: «Niente riempie più nobilmente la vita che pensare all’impossibile, — dice una volta, — c’è qualche cosa di grande in questo pensiero che ti occupa, qualche cosa di orgoglioso nel dire a te stesso che la tua vita non ha una meta uguale a quella di tutti gli uomini, ma una meta che non raggiungerai mai e che pure preferisci ad ogni altra più certa e più ridente, forse.»

E un’altra volta: «Nella vita tutto quanto non è stoltezza è volgarità: amo meglio esser stolto che volgare.» Ecco un’individualista convinto!

Ma un giorno questo uomo che ci appare sereno e qualchevolta eletto nel dolore, sopraffatto dalla sua tortura morale si uccide. Questo l’arte non rendeva necessario e il libro ha una vena malsana di più... Squisito libro però, malgrado quel po’ di scon-