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ley si riprometteva di essere, «dolci ed arditi.» La tempra e la vaghezza della loro lirica fa sempre perdonar loro qualche possibile mancanza di forma di originalità; e la somma sincerità d’osservazione che assurge per mezzo della verità alla più delicata poesia, compensa la loro prosa della scarsezza dell’elemento fantastico che qualche volta s’incontra in loro.

La colonia artistica femminile, o per la sua superiorità di senso pratico sull’altra, o per la sua inferiorità di cognizioni scolastiche, deficienza spesso provvidenziale, può vantare forse più della maschile di codesti campioni vincitori. Oggi ne abbiamo un esempio dei più efficaci in una donna gentile e valorosa, un’italiana di Trieste: Elda Gianelli. Dei suoi meriti di poetessa, dei fulgori incantati che raggiano dalle sue raccolte di versi, ebbi l’onore di parlare, e a suo tempo persone competenti assai più di me li encomiarono. Ora mi è assai caro di rintracciare in un nuovo volumetto di prose questo tipo muliebre di scrittrice, ardente e severo.

Sono racconti e bozzetti aggruppati, secondo il poco simpatico uso presente, sotto il titolo del primo racconto e del più lungo, che viceversa non è poi quasi mai il più pregevole, qui come altrove. «Incontro», questo nome schietto e disinvolto che fa immaginare una cortese figura femminile che ci viene innanzi amichevolmente, è quello della novella che inaugura il volume. Date le premesse dell’azione, l’ambiente, i caratteri delineati con sicurezza e il numero dei personaggi, credo che questo racconto, qua e là un po’ sbiadito o affrettato, guadagnerebbe a rifondersi in un romanzo per equilibrarsi e affermarsi, precisamente come cer-