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dieci pagine; — qualche volta è un’immagine aerea colorita, caduta là come una farfalla in un agguato: — talvolta è un tempestare di parole nuove, ardite che turbano e appagano, o un zampillo luminoso che si sprigiona e sale, o la trama tutta del lavoro che riluce aurea.
I migliori nella prosa non sono per solito i migliori nella lirica. I poeti maggiori, quelli che hanno raggiunto la perfezione nella difficile arte del sintetizzare, sono raramente in prosa limpidi, semplici, ordinati, fini. Se hanno l’efficacia quasi sempre e la forza, hanno anche quasi sempre il nervosismo o la brutalità. Gli altri invece, i poeti un po’ dilavati, all’acqua di rose come li chiamano, in prosa sono magici. Hanno la delicatezza, l’armonia, l’eleganza, il senso estetico: in una parola non sono mai tanto altamente poeti come quando scrivono senza le rime.
È forse per questa ragione che i francesi moderni ci sono superiori nella prosa, come noi siamo ad essi maggiori nella poesia.
In questa specie di legge del taglione v’ha però una scappatoia, uno scampo. Ed è per quegli spiriti felicemente equilibrati che non sono intrisi ma intinti di poesia; che sotto l’involucro iridescente e prezioso hanno una mente pratica e nutrita d’osservazioni sottili e profonde. Sono quasi sempre spiriti forti e buoni, cui l’intima e continua nozione della vita ritempra, non corrompe; e se talvolta par abbuiarli di scetticismo, il velo non è mai così denso nè così irrimediabilmente calato da non sperare che una volta o l’altra, a un dolce raggio di sole, possa rialzarsi su un viso già fidente e già pieno di sogni.
Hanno la forza e la grazia, sono, come lo Shel-