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ma non mai, appena che ci pensassi un po’, alla troppa giocondità, perchè forse più morbosa degli altri stati, e perchè, quanto più essa dava segno di sè medesima, ed altrettanto io era sicuro di piombare più a fondo nell’estremo opposto».
Ed anche questa, acuta ed essenzialmente umana: «........ gli spasimi del dolor fisico, e non importa quali, possono avere benigna influenza sopra lo spirito, allo stesso modo come le angoscie del cuore possono avvalorarvi a sostenere le torture del corpo. Nient’altro. Dolor acerrimus farmacus».
È invecchiato il giovine re, che si compensava alla notte della rigida etichetta del giorno, galoppando sul suo cavallo alla ventura, proprio come un ardente principe delle novelline di fate. È invecchiato, immalinconito, ha la gotta, ed esagera i suoi scrupoli sino a tralasciare di scrivere le sue memorie, che gli pare debbano scemare l’ultima energia che vuol serbare al suo popolo.
«Povera umanità!» termina sospirando. «Ma più poveri di tutti coloro i quali si stillano continuamente il cervello per determinare, ciascuno alla sua maniera, le origini, i procedimenti e gli effetti del male in terra, senza tentare di reciderlo, almeno dentro di essi, e senza porre mente che se non ci fosse stato il male, via, siamo giusti, nemmeno si avrebbe mai saputo che cosa fosse il bene. Come siamo ridicoli e lagrimevoli insieme!»
Ecco, non c’è bisogno d’esser re per arrivare a questa conclusione.
Tutti, grandi e piccoli, maestri e discepoli, purchè portino in sè il germe dell’analisi — dello splendido fior velenoso — sono sicuri di rimanerne vittima pei primi. È una delle nostre grandi