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Narcisi e Poeti.1

Spessissimo, leggendo gli ultimi versi d’un volumetto di rime elegante, attraente, mi sorprendo a pensare ai narcisi come per un’evoluzione naturale di pensiero — come se una china dolcemente irresistibile obbligasse le mie idee a scendere dai seguaci d’Apollo ai leggiadri fiori reclinati sulla riviera tersa a contemplarsi amorosamente. Suppongo ciò accada perchè la similitudine è press’a poco esatta e perchè non sono rari i poeti-narcisi nel fiorito giardino d’Italia... I toscani specialmente — poeti o no — s’inebriano tutti volentieri di quella lor vena facile, scintillante, gemmata, che zampilla inesauribile, che scorre armoniosa allietando e carezzando l’orecchio; ma dopo, eccoli puniti della pena inflitta al re che amò troppo la ricchezza: ogni cosa si cangia in oro al tocco della loro mano, in oro freddo, inutile, inanimato.

Un tesoro, uno splendore; ma la vita cessa — e di questa gelidezza aurea rifulge il volumetto di Giovanni Marradi.

Il Marradi è senza dubbio uno dei nostri migliori poeti contemporanei. I suoi versi hanno una delicatezza soave, una purezza di forma, una fluidità

  1. Marradi, «Nuovi canti» (Milano, Treves 1890).