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splendido, fantasioso e severo; superbo come un arco di trionfo, pio come una cattedrale: ingombra i cieli nel fulgore sano del sole, ma non posa sulla terra; non ha base, non ha fondamenta; ad un soffio svanirà. E svanisce.

Svanisce poichè è inutile, se noi misera progenie d’Eva non potremo abitarlo giammai. Ci vorrebbero degli spiriti luminosi e incorporei da Paradiso Dantesco. Ma noi con questo po’ po’ di zavorra? Povero edificio! Altro che sventramento!

Il signor Bellamy ha dimenticato assolutamente il terribile mostro delle passioni che ognuno di noi porta appiattato alle spalle e che ci sospinge e ci uccide. Non più oro; dunque non più delitti, non più assassinî, non più rapine, non più suicidi ha detto lui: dunque non più forza pubblica, non più luoghi di pena; e fratellanza e ordine perfetto. Oh «Amour, mysterieux amour, douce misère!», dove ti relega il signor Bellamy per emanciparsi così di te?... I delitti e i suicidî mossi dall’amore non sono forse altrettanti di quelli mossi dall’avidità? L’amore non genera forse la gelosia, l’odio, la vendetta, la ribellione, i rimorsi? Poi, lasciando in pace l’amore, e l’egoismo, così tenace nella natura umana? l’ira, l’invidia, l’infingardaggine e tutto quel brulicame di cattivi instinti e di tendenze malsane che ci ribolle nel sangue, che riusciremo a domare, a soffocare giammai? Siamo in terra, signor Bellamy! — Peccato! — Lo so, ma ci siamo; e intanto le vostre sapienti precauzioni per la felicità mi fanno venire in mente una vecchia fiaba in cui una bambina per salvarsi dal lupo manaro turò colla bambagia ogni spiraglio, ogni pertugio, ogni crepaccio della sua casa, chiuse le finestre