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gl’ipogei. 25

vecchio del tutto inabile al lavoro, e, da quel che capii, mantenuto dalla carità degli altri inquilini della camera — ed erano sette, ed i letti erano tre! —

Dal qual fondaco io uscii coi miei compagni, ambedue Napoletani, oppressa dal senso della troppa rassegnazione di tutto e di tutti. La pazienza delle bambine ammalate ed affamate farebbe piangere qualunque madre, che sa quanto deve aver sofferto e patito una creatura di tre, quattro o cinque anni, prima di aver capito l’inutilità del lamento. E sostando nell’uscire, in mezzo di un gruppo di bambini, feci quasi inconsapevolmente i miei pronostici sull’avvenire di ciascheduno. Questo (parlo dei maschi, per ora), dissi fra me e me, poco soffrirà e poco farà soffrire: costerà tutto al più al Municipio quattro tavole per la cassa. Cotesto invece, con quegli occhi avidissimi, quel piglio audace, che guarda dentro una bottega di pane, non aspetta altro che il fornaio volti la testa per involare quell’appetitoso ciambellone coll’uovo di Pasqua nel centro. Primo gradino della scala che lo condurrà per facile salita a Sant’Efremo, ove avrà lavoro provveduto e pagato, ed ove con la sua industria si ciberà di piselli con prosciutto, o se di più gli verrà talento, di fragole o lamponi o qualunque frutto di stagione. Una terza categoria ne inchiude molti; i segni del vizio prematuro, ereditato ed alimentato coll’esempio quotidiano, additano i futuri rei; i Caini dell’avvenire, colla mano contro tutti, e con le mani di tutti contro loro. Essi senza volerlo vendicheranno i torti della società; pur troppo saranno gl’innocenti che cadranno sotto il loro coltello, o nel loro laccio.