Pagina:Jessie White La miseria di Napoli.djvu/38

24 parte prima.

terne non odorarono di calce dopo il 1837, quando grazie alle stragi fatte dal colèra queste tombe di vi venti furono per ordine superiore imbiancate. I soffitti crollavano, molte delle stanze totalmente buie, l’una ricevendo luce dall’altra, e questa dalla porta, oppure da buchi chiamati finestre; ma senza vetri. Questo speciale fondaco (differente da altri visitati, i quali non hanno neppure un cesso) aveva quasi in ogni camera un buco nel muro. E tutti questi buchi scolano giù nella cloaca, che, ben inteso, fraternizza col pozzo. Tenendo bene in mente che molte delle camere sono occupate da due ed anche tre famiglie, se ne comprende facilmente tutta la luridezza. Alcune delle famiglie posseggono mobilia sufficiente, altre appena un letto. In una delle soffitte vidi un mucchio di paglia che letteralmente camminava da se, a cotal punto che lo credetti un nido di formiche. Ma erano ben altri insetti! come mi capacitò la mia cameriera, con infinita nausea, al mio ritorno in casa.

In una camera abitava una madre con sette bambini, l’ultimo attaccato inutilmente all’arido petto, e così su su sino all’età di dodici anni, sei scheletri che mi ricordavano l’ossario di Solferino. E di che potevano nutrirsi? Il padre, poco abile al lavoro per recente tifo, guadagnava da un ottonaio una lira al giorno, e ne pagava nove mensuali per la camera. Una bambina filava, un’altra portava in braccio una piccina ammalata. Io soffriva à vederle, e a non poter nulla per esse. In tanta miseria parmi crudeltà fare distinzioni fra i miseri. In un’altra stanza c’era un