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gl’ipogei 7

corpo, non salti addosso all’incauto gaudente, gridando: «Dammi la mia parte della comune eredità, che troppo tempo l’hai sfruttata per tuo proprio conto!»

Ripeto che credo fermamente sia ignorato, da chi potrebbe porvi rimedio, il vero stato del povero in Italia. Difatti ci si vive lungo tempo senza venirne sulle tracce.

Mi ricordo che la prima volta, in cui la mia mente rimase impressionata, che guai, diversi da quelli derivanti dallo straniero, opprimevano questo popolo, fu nella campagna del 1867, quando fermandoci fra Monte Rotondo e Roma per piantare un’ambulanza, ci trovammo a Marcigliana in uno dei poderi della campagna romana. Qui vivevano e morivano i lavoranti del suolo in stanzucce sudicie, malsane, ammucchiati peggio delle bestie nelle stalle, nutriti con cibo pessimo ed insufficiente, ed obbligati, nella totale mancanza del vino (benchè per questo vadano famosi i contorni), a bere acqua cattiva ed in certe stagioni putrida.

Eppure, come disse nel 1872 l’onorevole Bertani esponendo la necessità di un’inchiesta agraria, questa gente sta bene in confronto dei 13,000 individui ricoverati nelle grotte dell’Agro Romano.

A rinforzare le impressioni del 1867, seguirono le visite che feci lungo il Po, nella ricca e fertile Lombardia, durante le inondazioni del 1872. Quale miseria permanente, assoluta, sopportata con una pazienza che sapeva della disperata pace, pazienza di gente che nulla sperava da alcuno sulla terra! E fui testimone oculare del fatto, che i carabinieri e gl’in-