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nelle acque profonde 199


babile. Non è, però, da negare che l’idea d’un universo ciclico goda più popolarità. La maggioranza degli uomini trova la dissoluzione finale dell’universo così ripugnante come la dissoluzione della propria personalità, e l’aspirazione dell’uomo all’immortalità ha la sua contropartita macroscopica in queste aspirazioni più sofistiche ad un universo eterno.

Il punto di vista scientifico più ortodosso è che l’entropia dell’universo deve crescere sino al suo finale valore massimo. Non lo ha ancora raggiunto: noi non potremmo esser qui a pensare se questo fosse stato. Ma è rapidamente crescente, e così deve essere cominciata una volta; vi deve essere stata qualcosa che noi possiamo descrivere come una «creazione» in tempi non infinitamente remoti.

Se l’universo è un universo di pensiero, allora la sua creazione deve essere stata un atto del pensiero. Infatti la finitezza del tempo e dello spazio ci costringe, da sè, a raffigurare la creazione come un atto del pensiero; la determinazione di costanti come il raggio dell’universo e il numero d’elettroni che esso contiene implicano pensiero, la cui ricchezza è misurata dall’immensità di queste quantità. Tempo e spazio, che formano l’ordinamento del pensiero, devono aver avuto origine come parti di questo atto. Le primitive cosmologie raffigurano un creatore operante nello spazio e nel tempo, creante il sole, la luna e le altre stelle dal caos. La scienza moderna ci co-