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nelle acque profonde | 185 |
può dilatarsi. I critici del secolo ventesimo che fanno questi commenti sono sempre nella posizione mentale degli scienziati del secolo decimonono; prendono per accertato che l’universo deve ammettere una rappresentazione materiale. Se noi accettiamo le loro premesse, noi dobbiamo, io credo, accettare anche le loro conclusioni — che quel che diciamo è un non senso, per la loro irrefutabile logica. Ma la scienza moderna non può ammettere le loro conclusioni; essa insiste sulla finitezza dello spazio a tutti i costi. Questo naturalmente significa che noi dobbiamo negare le premesse che i nostri critici, senza averne coscienza, facevano. L’universo non può ammettere una rappresentazione materiale, e la ragione, io penso, è che esso comincia a divenire un concetto puro.
È lo stesso, io penso, con altri concetti più tecnici, prendendo a tipo il «principio di esclusione» che sembra implicare una specie di «azione a distanza» nello spazio e nel tempo — come se ogni parte dell’universo conoscesse quel che fanno le altre parti distanti e agisse di conseguenza. Secondo me, le leggi a cui la natura obbedisce, fanno pensare meno a quelle a cui obbedisce una macchina nel suo movimento che a quelle a cui un musicista obbedisce, scrivendo una fuga, o un poeta, scrivendo un sonetto.
I movimenti degli atomi e degli elettroni somigliano meno a quello delle parti d’una locomotiva, che a quelli dei ballerini in un cotillon. E se la «vera es-