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142 la relatività e l'etere


meva il compito di «riempire» lo spazio, e così dividere il continuo obiettivamente in spazio e tempo. E le leggi di natura, non riconoscendo la possibilità d’una tale divisione, non potevano ammettere l’esistenza dell’etere come una possibilità.

Così se noi abbiamo bisogno di render visibile la propagazione delle onde luminose e delle forze elettro-magnetiche, pensandole come perturbazioni dell’etere, il nostro etere deve essere qualcosa di molto differente dall’etere meccanico di Maxwell e Faraday. Esso può essere concepito come avente una struttura quadri-dimensionale, riempiendo tutto il continuo, e così estendendosi per tutto lo spazio e il tempo, nel qual caso noi possiamo far uso dello stesso etere. Oppure, se noi sentiamo bisogno d’un etere tridimensionale, esso deve essere soggettivo in un modo che l’etere di Maxwell e Faraday non era. Ciascuno di noi deve allora portarsi con sè il suo etere, così come dopo un acquazzone ciascun osservatore ha il suo proprio arcobaleno. Se cambia la mia velocità io mi creo da me un nuovo etere, nella stessa maniera che se io faccio alcuni passi durante un acquazzone con il sole, io mi procuro da me un nuovo arcobaleno. E a meno che l’universo che si dilata descritto sopra (pag. 88) sia una pura illusione, ogni etere deve dilatarsi e allargarsi. Se una struttura di questo tipo possa chiamarsi un etere, è una questione aperta; sarà difficile di trovargli proprietà identiche a quelle del vecchio e-