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La mattina per tempo munito di una buona e sicura guida giunge alla cima in un’ora e mezzo.
La via meno difficile è dal lato orientale, ma occorre talvolta venire verso ponente, girar la montagna, per ritrovare un cammino più agevole. Il Pizzo, a chi lo miri di lontano toglie la volontà di salirlo, perchè gli si presenta tanto scosceso che lo crede inaccessibile; ma non vi ha monte al pari di esso ripido e dirupato che offra come il Pizzo sempre sporgenze e cavità, per le quali la mano, il ginocchio, il piede non trovino dove posarsi e sostenersi. La discesa del versante di Vinca non è da consigliarsi senza una guida espertissima e robusta. La vetta è uno spazio dove potranno stare una ventina di persone; da settentrione l’ascensione è impossibile, le roccie, veri nidi di aquila, strapiombano sul Solco d’Equi e formano un muraglione grigio, franoso, pieno d’insenature e crepacci; da ponente continua la catena a picchi, a punte, a piramidi acutissime, che discende sino al Lucido di Equi e alla Caldanella; a mezzogiorno il Sagro in vista e il Mediterraneo; a levante, il Pisanino e le Forbici.
Il panorama non vale la fatica di salire questo gigante dell’Alpi Apuane, ma lo spettacolo, circoscritto in poco spazio, per l’orrida beltà di una solitudine grandiosa, cinta di precipizii paurosi, soggiorno di aquile e di corvi, la vista del libero mare tanto vicino da scorgere benissimo i navigli, vi compensano largamente.
In tre ore e mezzo dalla cima si scende a Vinca per la via del Giogo già accennata. Si crede opportuno riportare la narrazione dell’ascensione al Pizzo