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vincenzo monti | 89 |
Apriti, o Alpe, ei disse, e l’Alpe aprissi,
E tremò dell’eroe sotto le piante....
Liete da lungi le lombarde valli
Risposero a quel mugghio, e fiumi intanto
Scendean d’aste, di bronzi e di cavalli.
Levò la fronte Italia, e in mezzo al pianto,
Che amaro e largo le scorrea dal ciglio,
Carca di ferri e lacerato il manto,
Pur venisti, diceva, amato figlio....
L’eroe.... alla vendetta del materno affanno,
In Marengo discese fulminando.
Mancò alle stragi il campo, e l’alemanno
Sangue ondeggiava, e d’un sol dì la sorte
Valse di sette e sette lune il danno.
Dodici rôcche aprir le ferree porte
In un sol punto tutte, e ghirlandorno
Dodici lauri in un sol lauro il forte.
Il Monti indugiossi a Parigi nella lusinga d’una cattedra al Collegio di Francia, ma denunziato come nemico al nome francese e lodatore del Suwarow1, non ottenne se non 500 franchi, quasi di limosina.
Tornò dunque all’Italia, e la salutò con quei versi, che tutti ricantammo quanti abbiam mangiato il pane dell’esigilo:
Bella Italia, amate sponde,
Pur vi torno a riveder!
Trema in petto e si confonde
L’alma oppressa dal piacer.
Tua bellezza, che di pianti
Fonte amara ognor ti fu,
Di stranieri e crudi amanti
T’avea posta in servitù.
- ↑ Un suo biografo nega che avesse cantato Suwarow. Certo però nel 99 passava per suo un sonetto che comincia:
Vieni, o sarmata eroe; vieni, e le braccia
Stendi all’Italia desolata e nuda;
Se disarmar lasciossi, arme si faccia
Del petto, e il prisco suo valor dischiuda.
Vieni, e dai lidi suoi gli empi discaccia,
Che di donna la fêr cattiva e druda, ecc.