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86 illustri italiani

come Alemagna e Francia, con diverse voglie, agitano in riva dell’Isonzo le sorti d’Italia, una volendo torla a morte, dargliela l’altra:.

     Tu muta siedi.... e nella tua paura,
     Se ceppi attendi o libertà, non sai.
          O più vil che infelice! o de’ tuoi servi
     Serva derisa! sì dimesso il volto
     Non porteresti, e i piè dal ferro attriti,
     Se del natìo vigor prostrati i nervi
     Superba ignavia non t’avesse, e il molto
     Fornicar coi tiranni e coi leviti.
                         L’Itala fortuna
     Egra è sì, ma non spenta; empio sovrasta
     Il Fato, e danni e tradimenti aduna,
     Ma contro i Fati è Buonaparte, e basta.
Canzon.... se i vili che son forti in soglio,
     T’accusano d’orgoglio,
     Rispondi: Italia sul Tesin v’aspetta
     A provarne la spada e la vendetta.


V.


Tutto ciò non bastava, dice egli stesso, «a vincere quella fatale combinazione di circostanze che lo aveva fatto giudicare cortigiano del dispotismo.... Quanto avrei amato un destino a cui l’invidia non giunga! Ma questo flagello degli uomini onesti mi si è attaccato alla carne e non spero mai di liberarmene, a meno che non prenda il partito di divenir scellerato per divenir fortunato»1.

Ah! non si tratta solo di despotismo o del vario modo d’intendere la libertà, bensì dei canoni del giusto e dell’onesto, che sopravvivono al furore degli odj e ai delirj dell’adulazione: egli sfoga contro tutti i regnanti un’ira, che si direbbe sentita; giudica figli della ragione quei filosofi che avea messi in inferno ancor vivi; e traduce la Pulcella d’Orléans, triplice sacrilegio d’onestà, di patria, di fede.

Anche impieghi ambì, forse appunto perchè n’era escluso, e fu mandato commissario organizzatore sul Rubicone coll’avvocato Oliva di Cremona. Impieghi a cui era disadatto, ma in rivoluzione ognun si crede buono a tutto; e v’ebbe cozzi principalmente col conte

  1. Lettera al Constabili, 5 settembre 1798.