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vincenzo monti | 85 |
Più che bujo d’inferno ei fosco e fiero
Portava il ciglio, e livido l’aspetto
D’un cotal verde che moria nel nero.
Dalle occhiaje, dal naso, dall’infetto
Labbro, la tabe uscìa sanguigna e pesta....
Stracciato e sparso di gran gigli indossa
Manto regal, che il marcio corpo e guasto
Scopre al mover dell’anca e le scarne ossa.
Il tenebroso regal fantasma, che era la fatal di Capeto ombra spietata, si presenta nel Consiglio de’ cinquecento, e collo scettro tocca l’uno e l’altro, e ne sono suscitate le fazioni, e di quei danni risente Italia.
Credeva il Monti ingrazianti i circoli e i giovani col bestemmiare tutto quanto prima aveva divinizzato, e non solo i sacerdoti e il pontefice ma Cristo e la sua Chiesa. Che se, quando in un circolo lesse alcune ottave, sui Crimini dei Papi, l’ex-prete Ranza, gran manipolatore delle dimostrazioni d’allora e grand’avversario del Monti, scese dalla sedia presidenziale per andar abbracciarlo, quando nel Compilatore Cisalpino stampò un sonetto ove alla croce vuol surrogato l’albero della libertà1, esso Ranza rinfacciò al poeta camaleonte di aver oltraggiato Cristo e la fede, mentre, a detta sua, la superstizione aveale guaste, ed ora il teofilantropismo e la religion naturale tornavanle alla primitiva purezza.
Riconfortiamoci colla canzone sul Congresso di Udine, ove canta
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La pianta che in Giudea mise radice
E d’un trafitto il carco alto sostenne,
Poi, steso il piè su la tarpea pendice,
Ombrò di rami il mondo e servo il tenne,
Questa d’ogni viltà pianta matrice
Finalmente nel fango a cader venne;
E la gallica spada, e dell’ultrice
Ragion l’ha tronca la fatai bipenne.
Sorge in suo loco l’arbore divina
Di libertade: e tra le fronde liete
Rinverde e frutta la virtù latina.
Bruto l’elmo vi posa: e le segrete
Mani su l’Arno e sul Sebeto inchina;
Ne crolla i troni, e grida ai re, scendete.