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incusso terrore; senza criterio come senza scrupolo sottilmente adulando le passioni vulgari, e usando l’arte solita di denigrare i loro nemici per aizzare i loro strumenti.

Emulo anche di abilità, il Salfi potea la nimicizia mascherare di patriotismo; e l’addentato poeta, neppur difeso dalla protezione de’ grandi, credette ripararsene con una lettera d’inescusabile bassezza1, diretta da Bologna, il 18 giugno anno primo repubblicano, al cittadino Salfi. Eccola:

— Se vi ricorda ch’io sono stato più volte maltrattato nei vostri fogli a cagione della cantica Bassvilliana, dovete ancor figurarvi ch’io sia pieno di maltalento contro di voi. Disingannatevi: non conoscendomi voi di persona, nè potendomi giudicare che in ragione delle cose da me pubblicate, giustissimo ed onesto è stato il vostro giudizio, nè io debbo lagnarmi che delle crudeli mie circostanze, le quali mi posero nella dura alternativa o di perire o di scrivere ciò che scrissi.

«Io era l’intimo amico dell’infelice Bassville; esistevano in sue mani, quando fu assassinato, delle carte che decidevano della mia vita; mi spaventavano le incessanti ricerche che facevansi dal Governo per iscoprirne l’autore; m’impediva di fuggire il doloroso riflesso che la mia fuga avrebbe portato seco la rovina totale di mia famiglia. Non più sonno, nè riposo, nè sicurezza; il terrore mi aveva sconvolta la fantasia, mi agghiacciava il pensare che i preti sono crudeli, e mai non perdonano, non mi rimaneva insomma altro espediente che il coprirmi d’un velo, e non sapendo imitare l’accortezza di quel Romano che si finse pazzo per campare la vita, imitai la prudenza della Sibilla, che gittò in bocca a Cerbero l’offa di miele per non essere divorata.

«Potrei qui rivelare altre più cose gravissime, la cognizione delle quali compirebbe la mia discolpa, ma vi sono alle volte dei segreti terribili, che non si possono violare senza il consenso di chi n’è partecipe, ed è pur meglio il lasciar debole talvolta la propria difesa, che il mancar d’onestà, di prudenza, di gratitudine.

«Forse direte (ed altri me l’hanno già ripetuto) che la fierezza

  1. In una Apologia politica di Vincenzo Monti (Imola, 1870), lodevolissima pel sentimento che la dettò, grand’appoggio si fa su questa bellissima lettera, Giudichi il lettore.