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compassato stile di soverchio sentenzioso, nella smania di dare a tutto un aspetto nuovo e meraviglioso, affollare antitesi e raffronti, inaspettati. Sembra conciso pel suo periodare sfrantumato, mentre in realtà, al pari di Seneca, gira rapidamente intorno alle idee, ma a lungo intorno alla stessa.

Fra le lettere che dalla Bitinia Plinio scrisse a Trajano ottenne gran celebrità quella a proposito de’ Cristiani, donde appare la lotta fra la legalità e la naturale onestà; convenendo egli che costoro sono gente pia, docile, inoffensiva, ma colpevole di non obbedire; ond’egli esita sulla giustizia del metterli al supplizio, ma intanto per esperimento li tortura; e ne chiede parere all’imperatore, mostrandosi disposto a mandarli alle fiere e al fuoco benchè incolpevoli, se esso glielo comandasse.

Per verità è molto il ritrovare questa imparzialità verso i Cristiani in un amico di quel Tacito, che, narrando l’incendio di Roma, soggiunge come «la semenza pestifera dei seguaci di un Cristo, crocifisso sotto Ponzio Pilato, si dilatasse in Roma ove tutte le cose brutte e atroci si solennizzano; e quivi scoperti, non come colpevoli dell’incendio, ma come nejnici del genere umano, furono presi, uccisi con scherni, vestiti di pelli d’animali perchè i cani li sbranassero vivi, o crocifissi, o arsi, o accesi come torchi per far lume la notte. E Nerone prestò a questi spettacoli i suoi orti, e vestito da cocchiere trascorreva; onde di que’ malvagi, benchè meritevoli d’ogni più squisito supplizio, veniva compassione, non morendo pel bene pubblico, ma per la colui bestialità»1.

Tanto il più forte pensatore di quel tempo restava accecato dall’orgoglio romano, che umanità non riconosceva fuori di Roma e della Grecia.

Morta Calpurnia che teneramente amava, Plinio sposò un’altra, ma niuna gli portò figliuoli; sicchè non potè gustare quanto è dolce e delizioso ricalcar la fiorita carriera della gioventù per mano d’un dolce figlio, e ritessere il piacevole sogno della vita. Di corpo era gracile, poco alla fatica capace, e credesi comunemente morto a cinquantanni, nel dodicesimo di Trajano imperatore, 109 o 110 di Cristo. L’annalista comasco Tatti vorrebbe ch’egli fosse stato istrutto nella vera fede da Tito, discepolo di san Paolo, e che anzi divenisse

  1. Annali, L. XV, 59-61.