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60 | illustri italiani |
delatori, appena il costoro regno crollò. Aquilio Regolo, già sollecitatore di testamenti, che poi in una sola denunzia guadagnò tre milioni di sesterzj e gli ornamenti consolari, e che avea causato la morte di Elvidio, si vide da lui ridotto a perdere non solo la reputazione, ma metà dell’oro, passione sua. In quel caso Plinio badò meno all’eleganza che alla forza; ma nello stendere quell’accusa rileggeva di continuo l’arringa di Demostene contro Midia1; eppure, potenza del danaro, poco poi avendo Regolo perduto un figlio, ecco tutta Roma accorrere a portargli condoglianze in Transtevere, nella casa improntata d’infamia dall’avarizia e dalla ricchezza del sordido vecchio. Aveva dunque ragione Giulio Maurico, allorchè, alla tavola di Nerva, rammentandosi un Catulo Messalino, spia e agente provocatore del regno precedente, e domandando l’imperatore che ne sarebbe se fosse ancor vivo, con franchezza soldatesca rispose: — Per dio, sarebbe qui a cena con noi».
Plinio niuna cura lasciava per emendare le sue opere; egli stesso le rivedea, poi leggeale a due o tre amici, indi a molti, studiando però esser lodato non da chi ascoltava, ma da chi leggeva2. E prima di recitar il panegirico, tre giorni lo lesse agli amici, i quali, oltre rinvenire scevri d’adulazione quegli encomj, applaudivano singolarmente ai passi ove meno l’arte appariva: dal che Plinio traeva argomento che potesse rivivere la maschia eloquenza antica, ma non ne facea senno per tenersi alla naturalezza, E il soverchio studio è colpa delle opere di Plinio; nelle lettere è troppo evidente come avesse di mira il pubblico e non solo l’amico, all’espressione vera preferisse la pomposa, talchè sono troppo lontane da quella agevole e spontanea ingenuità, non dissimile dal famigliare colloquio, nella quale sta il miglior pregio delle lettere. Altissimo nome godea già vivo, sicchè le opere sue si vendevano fin a Lione3, e Marziale amico suo non dubitava cantare che i posteri ne paragonerebbero gli scritti a quelli dell’Arpinate. In fatto il panegirico in altri tempi fu tenuto un modello d’eloquenza, preferito fino a Cicerone; l’età più severa trovò noja in quell’affettata pompa di acuto ingegno, nella asmatica elevazione, nella inani generalità, nel