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Il poeta Stazio blandisce non solo Domiziano, ma qualunque ricco; Valerio Massimo e Vellejo Patercolo, storici, esaltano le virtù di Tiberio; Quintiliano retore, la santità di Domiziano e, ciò che al suo gusto dovea costare ancor più, l’abilità di esso nell’eloquenza, e lo chiama massimo tra i poeti, ringraziandolo della divina protezione che concede agli studj, e d’avere sbandito i filosofi, arroganti al segno da credersi più savj dell’imperatore. Marziale bacia la polvere da Domiziano calpestata, e gli par troppo poco il collocarlo a paro coi numi: Giovenale satirico adula; adula Tacito severo storico, come adulavano i pappagalli che ad ogni atrio d’illustre casa salutavano il sagacissimo Claudio e il cavalleresco Caligola. Plinio maggiore adula Vespasiano; Plinio giuniore non sa che adulare Trajano; Seneca adula Claudio, e per invitare Nerone atta clemenza, gli accorda la potestà di uccider tutti, tutto distruggere, mettendo in certo modo a contrasto la forza di lui colla debolezza dell’universo, onde ispirargli la compassione per via dell’orgoglio.

D’altra parte a cotesti stranieri, accorrenti da ogni plaga del mondo a Roma per godere le imperiali munificenze; a cotesti liberti traforatisi nel senato a forza di strisciare innanzi ai loro padroni, quali rimembranze restavano di più franchi tempi, quali tradizioni repubblicane da svegliare? Vedevano l’oggi, e bastava per divinizzare i padroni del mondo.

Anche Plinio, eletto console di quarantun’anno, dovette per costume fare il panegirico all’imperatore, che fortunatamente era il virtuoso Trajano; e quel panegirico ci rimane come l’ultimo sforzo, e l’unico e non felice monumento della romana eloquenza, sì rapidamente decaduta, dacchè, sbalzata fuor della pubblicità ch’è sua vita, formavasi sui precetti dei retori, si trastullava in esercitazioni vane e stravaganti, e assumeva il tono della declamazione, madre nècessaria di esagerazioni nel sentimento e nella forma.

Il secolo nostro che ha disimparato l’ammirare, si stomaca di lodi buttate in faccia a un vivo e potente; e davvero Trajano era tal imperatore da potersi lodare meglio che con vuote generalità: ma Plinio, console, augure, al cospetto del popolo, non seppe che seguir l’andazzo, e dargli adulazioni, sebbene somiglino meno a cortigianesca lusinga che all’enfasi d’uomo, spinto oltre il vero dall’ammirazione della virtù.

Però non soltanto lodi sapeva tessere Plinio, e s’infervorò contro i