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i plinj | 47 |
spie e de’ carnefici, fu invitato ad onorare e guidare la rigenerantesi società; e gli troviamo le cariche di augure, questore di Cesare, legato d’un proconsole, decemviro a giudicar le liti, tribuno della plebe, pretore, flamine di Tito, seviro de’ cavalieri, curatore del Tevere e della via Emilia, prefetto all’erario di Saturno e al militare, governatore della Bitinia e del Ponto.
Trajano, anche giunto al fastigio della fortuna, serbò amicizia per Plinio; e le lettere che gli diresse mentre governava la Bitinia sono un’importante rivelazione de’ migliori tempi del concentramento imperiale. E lettere moltissime conserviamo di Plinio stesso: a troppo gran pezza dalla cara ingenuità delle ciceroniane, mostransi destinate al pubblico ed alla posterità; ma anche in quel loro tono accademico e declamatorio ci rivelano un eccellente naturale, e c’introducono nella vita, massime letteraria d’allora.
Era Plinio legato con quanto allora vivea di meglio; e con lui amiamo incontrare Italiani, ben differenti da quelli con cui ci famigliarizzarono Tacito e i satirici; un Caninio comasco, che donò una somma per imbandire annuo convito al popolo; Calpurnio Fábato, onorato di somme dignità, che la patria Como abbellì di un portico, e diè denaro per ornarne le porte; Pompeo Saturnino, uom giusto, bel parlatore, poeta da emulare Catullo, che a Como stesso lasciò un quarto della propria eredità; Virginio Rufo suddetto. Da Spurina Plinio imparò non solo la giurisprudenza, ma l’ordine e la compostezza; nella casa di questo buon vecchio osservando quella regolare occupazione, quella serenità d’uomo che si accosta al sepolcro. In Aristone suo tutore Plinio ammirava la frugalità, la prudenza, la sincerità, lo zelo nel patrocinare altri. Sua moglie Calpurnia, nipote di Fabato, alle doti del cuore univa quelle dello spirito, leggeva avidamente i libri del marito, ne riponeva in mente i versi e vi adattava le armonie; andava ad ascoltarlo quando parlasse in pubblico. Plinio gloriavasi che la posterità saprebbe che fu amico di Tacito: — Come l’avvenire dirà che noi ci amammo, che ci siamo compresi! Aveano (dirassi) l’età stessa, egual grado, egual rinomanza, e a tante cause d’emulazione la loro amicizia resistette.
E come già ci collocano l’un presso all’altro! già siamo inseparabili nella pubblica opinione: chi preferisce te a me, chi me a te: ma venire dopo te è per me una preminenza»1.
- ↑ Ep. VIII, 20.