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in Africa e in Germania; bofonchia contro quelli che il ferro ridussero in armi, pure della guerra riconosce i vantaggi, professando che l’Italia fu scelta dagli Dei por riunire gl’imperj dispersi, addolcire i costumi, ravvicinare in comunanza di linguaggio gli idiomi discordi e barbari di tanti popoli, dare agli uomini la facoltà d’intendersi, incivilirli, divenire insomma la patria unica di tutte le nazioni del mondo1. Di queste idee avanzate, di questa filosofia tollerante e cosmopolitica egli non conosceva o rinnegava l’origine.
Attraverso alla barbarie, che separa le antiche dalle moderne età, ci pervennero quelle opere lorde d’infiniti errori. Onde il Petrarca:
— Credi forse che, se ora risorgessero Cicerone e Livio e molti altri antichi e singolarmente Plinio Secondo, e si facessero a rilegger i loro libri, essi gli intenderebbero? o che anzi, esitando ad ogni passo, li crederebbero opere altrui o dettature di barbari?»2 E l’arguto Erasmo da Roterdamo ebbe a dire che, chi piglia a restituire le storie di Plinio, si toglie sulle braccia tanta briga quanto chi prende o una nave o una moglie3. Nè ancor vi provvidero le tante edizioni che, da Ermolao Barbaro, in poi se ne fecero4: nè le versioni in ogni lingua, fin nell’araba. Bramava il Tiraboschi che una società di valorosi italiani desse una bella traduzione di quest’opera con note doviziose ed esatte: dopo quasi un secolo rimane ancora inadempito quel voto.
Quando Plinio morì, menava il diciottesimo anno Cajo Cecilio Secondo, nato a Como da una sorella di Plinio e da Lucio Cecilio, casa
- ↑ XXX, 4; III, 6, 2.
- ↑ De remediis utriusque fortunæ, lib. I, dial, 43. Altrove si lagna che in Avignone presso il papa fosse una sola copia della Storia Naturale. Vedi De Sade, Mem. de la vie de Pétrarque, III, 196.
- ↑ Ep. ad St. Turzum.
- ↑ La prima edizione certa del Plinio è quella di Giovanni di Spira in Venezia, 1469; al 1480 già sei ristampe se n’erano fatte. La biblioteca Ambrosiana ne possiede un superbo manuscritto, compito dal celebre calligrafo frà Pietro da Pavia nel 1389. Le edizioni di Plinio finiscono alle parole Hispaniam quacumque ambitur mari. Luigi di Jan nel 1831, in un manuscritto di Bamberga, trovò la fine dell’opera, che dà un quadro comparativo della storia naturale de’ paesi posti sotto zone diverse; loda l’Europa meridionale e specialmente la Spagna «ove la dolcezza d’un clima temperato dovette, giusto il dogma de’ primi Pitagorici, ajutare di buon’ora la stirpe umana a spogliare la rozzezza selvaggia».