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nobiltà dello stile danno risalto alla sua profonda erudizione: non solo egli sapea tutto ciò che poteva a’ suoi giorni sapersi, ma avea quella felicità di pensar vasto, che moltiplica la scienza; quella finezza di riflessione, da cui dipendono l’eleganza ed il gusto, e che comunica a’ suoi lettori la libertà di spirito; una franchezza di pensare, che è il germe della filosofia. Il suo lavoro, vario come la natura, la dipinge sempre bella; è, se si vuole, una compilazione di quanto era stato scritto ed importava sapere, ma le cose vi sono riunite di maniera sì nuova, che la copia è preferibile alla più parte delle opere originali»1.

Per verità l’essersi perduta la maggior parte delle duemila opere da Plinio spogliate, lo rende preziosissimo; e senza la sua farragine, tropp i parte dell’antichità ci rimarrebbe arcana. Egli ci rappresenta pure il vacillare della ragione umana, ancora ostinata a chiuder gli occhi incontro al lume che erasi rivelato; onde spesso ai fatti chiede spiegazione da una filosofia atrabiliare, che assiduamente accusa l’uomo, la natura, gli Dei, colla retorica aggravando le miserie umane, acuendo l’ingegno per iscoprire i disordini di questo mondo, senza elevarsi alle armonie d’un altro. Nell’indagine del quale non trova interesse veruno2; anzi nega Dio, o lo fa tutt’uno col mondo; deride la Provvidenza, e precipita nello scetticismo, fino a considerare l’uomo come l’essere più infelice e più orgoglioso3, ed insultare la divinità, che «nè può concedere nè togliere a sè stesso la vita, la qual cosa è il dono più bello che essa abbia a noi lasciato»4.

Mentre sbraveggia le religioni e la Provvidenza, indulge a superstizioni, crede a ermafroditi, a maschi cambiati in femmine, a fanciulli nati coi denti o rientrati nell’alvo materno, alla longevità di chi ha un dente di più, alla disgrazia di chi nasce pei piedi, a cavalle fecondate dal vento, a donne che partorirono elefanti. Vi dirà d’una pietra, la quale, posta sotto al capezzale, produce sogni veritieri; che al morso di serpenti rimedia la saliva d’uom digiuno;

  1. Histoire naturelle, I, 48.
  2. Mundi extera indagare nec interest hominis, nec capit humanse conjectura mentis.
  3. Solum certum nihil esse certi, et homine nihil miserius aut superbius.
  4. Naturæ historia, III, 7; VIII, 55; II, 7. Buddeo accusa Plinio di ateo; Brukero lo scagiona.