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22 | illustri italiani |
Passato a Londra, gridò a voce e a stampa contro i soprusi usatigli alla Bastiglia, e le preziosità involategli: pubblicò un libello violento contro il re e il governo francese, esortando a scuoterne il giogo, e a valersi per ciò della massoneria (20 giugno 1786); stampò anche una memoria, stesa da un abilissimo avvocato, ove ripulsa l’asserzione della La Motte, rivela alcun che delle sue avventure, invoca la testimonianza di personaggi illustri che dice aver praticati, e de’ banchieri che gli somministrarono denari, non indicando però donde li traesse. Vi era anteposta la sua vita, preceduta da magnifico ritratto coll’epigrafe: «Ecco le fattezze dell’amico degli uomini. Tutti i suoi giorni son segnati da nuovi benefizj. Egli prolunga la vita, soccorre l’indigenza; unica ricompensa sua è l’esser utile».
Ma se vi era accolto in trionfo dalla ciurma, la buona società ne fu presto stomacata, viepiù dacchè Morand, redattore della Gazzetta d’Europa, tolse implacabilmente a smascherarlo e deriderlo, tanto che dovette andarsene. Neppure in Isvizzera fece fortuna; la tentò a Torino, ma il re gli intimò di partire, come fece il vescovo principe di Trento, dove fu pubblicato un Liber Memorialis de Caleostro dum esset Roboreti, in cui con frasi scritturali dementino Vannetti raccontava le costui ciurmerie. A Venezia ingannò un mercante promettendogli cambiare la canapa in seta e il mercurio in oro.
Respinto ormai d’ogni parte, lusingossi trovare altri gonzi a Roma, spintovi anche dalla moglie, desiderosa di rimpatriare e cambiar vita. Egli stesso si fìnse convertito, ma ivi trovò pochissima adesione, neppure fra quelli che già erano ascritti alla massoneria ordinaria; e per quanto moltiplicasse segni, toccamenti, parole, gerghi e brandire la spada, e battere tre volte la terra col piede, e applicare le dita al fronte, e alitare in faccia. Egli, che aveva sì bene illuso la giustizia di Parigi, qui, sebbene prevenuto, lasciossi cogliere dal Sant’Uffizio il 27 dicembre 1789 con tutte le carte e i simboli e i libri: e avendo giudici e carcerieri incorruttibili, si trovò isolato dall’immensa sua dipendenza: sicchè non credette’ restargli altro partito che rivelare ogni cosa, mescolandovi certamente vanterie, degne di Benvenuto Cellini o di Pietro Aretino, e fingendo circostanze, che ad un tribunale ecclesiastico attenuassero le sue colpe.
Nel lungo processo confessò dunque che molte v’ha sètte massoniche, ma le più frequenti sono quella della pretta osservanza a cui