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274 | illustri italiani |
mere i Cappuccini, quasi con lui aderissero e n’avessero bevuto gli errori, ma ne fu dissuaso da ragioni, sopra le quali gli storici di quella religione tessono pompose dicerie. Claudio Tolomei nobile senese, appena seppe apostatato l’Ochino, gli diresse da Roma, il 20 ottobre 1542, una lettera, che s’ha a stampa, donde appare quanto senso avesse fatto quel passo tra un popolo che l’ammirava e stimava. Esposte le ragioni di perdurare nella Chiesa, dove unicamente è la verità, lo pregava almeno a tenersi tranquillo e non inveire contro la Chiesa cattolica.
— Ritornando alli di passati di villa in Roma, mi fu subito detto una nuova, la quale non solamente mi parve nuova, ma stolta, incredibile e spaventosa. Mi fu detto che voi, non so con quale istrano consiglio, siete passato dal campo de’ Cattolici agli alloggiamenti de’ Luterani, consecrandovi a quella setta eretica e scellerata. Tutto subito mi raccapricciai, e, come si dice, mi feci il segno della croce. Di poi, essendomi da quattro, da sei, e finalmente da ciascuno confermato il medesimo, fui costretto a mio malgrado a crederlo, parendomi aver udito assai più stravagante nuova, che se mi fosse stato detto che le colombe si convertissero in serpenti, o le caprette diventassero pantere. Ma pensando poi come Lucifero bellissimo angelo divenne diavolo, cominciai ad avvedermi che agevolmente potevano avvenire queste orribili trasformazioni; onde molti giorni sono stato in dubbio s’io dovevo scrivervi, oppur s’egli era meglio il tacere, ristringendo intra me stesso il dolore ch’io ho sentito e sento per questa vostra nuova e spaventevole mutazione; perciocchè da un lato mi pareva non poterci guadagnare scrivendo, poichè avete sì fisso il pensiero in questa nuova setta, e mostrato al mondo non solo con le parole, ma con l’opere ancora, il risoluto animo vostro; e più tosto temevo che voi col rispondermi non mi travagliaste la mente, ch’io sperassi di potervi ritirare indietro da questo viaggio che avete preso; perchè io so bene quanta sia la dottrina vostra, quali e quante sieno le fiamme della vostra eloquenza, le quali due cose agevolmente avrebbon potuto nella loro dolcezza invaghirmi, e invaghito in qualunque pericoloso luogo trasportarmi. Ma d’altra parte temeva tacendo di non essere poi costretto a far poco onorato giudizio di voi; che, non sapendo le vostre ragioni nè quale spirito vi abbia mosso a partirvi, io non saprei mai appresso molti che v’accusano, scusarvi abbastanza; e solo mi rimane un luogo