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manco scrivendo potrò dare in luce cosa alcuna. Per questi ed altri rispetti eleggo partirmi, e prontamente; che veggo che procedono in modo, da pensar che vorrebbero infine farmi rinnegar Cristo o ammazzarmi. Credo se Paolo fosse nel mio caso non piglierebbe altro partito.... Ho inteso che il Farnese dice che son chiamato perchè ho predicato eresie e cose scandalose. Il Teatino, Puccio1 ed altri che io non voglio nominare, dalli avvisi che ho avuti, parlano in modo, che se io avessi crocifisso Cristo, non so se si farebbe tanto rumore. Io son tale qual sa V. S., e la dottrina si può sapere da chi mi ha udito: mai predicai più riservato e con modestia che quest’anno, e già senza udirmi mi hanno pubblicato per un eretico. Ho piacere che da me incomincino a riformare la Chiesa. Temono infino un frate con l’abito: onde, udendo tanta commozione contro di me, penso sia bene cedere a tanto impeto. Dall’altra parte pensate se mi è aspro per tutti li rispetti che sapete. Considerate se sento repugnanza a lasciar tutto, e a pensare che si dirà. Cristo ha permesso e voluto ch’essi mi perseguitino così, a qualche buon fine. Mi sarebbe stato sopra modo gratissimo parlarvi, ed avere il vostro giudizio e di monsignor Polo, o una lettera loro. Pregate il Signore per me. Ho animo servirgli più che mai in la sua grazia.

«Firenze, 22 agosto 1542»2.

Allora fu da Caterina Cibo duchessa di Camerino, colla quale pura teneva usata; e varcati gli Appennini, a Ferrara visitò la duchessa Renata, discepola e protettrice di Calvino, che lo munì di commendatizie per Ginevra. Erasi presi a compagni fra Ginepro, frà Francesco e Mariano da Quinzano frate laico, che sapea di francese e tedesco per essere stato militare; ed era sì caritatevole, che una volta, più non avendo altro da poter dare, al mendicante disse: — Non mi resta che questo mantello, e neppur esso è mio, sicchè non posso dartelo. Ma se tu me lo togli, io non mi opporrò». E sfibbiatolo, lasciò che il pitocco se lo pigliasse.

L’Ochino diede intendere a frà Mariano che zelo di Dio lo traesse a predicare fra gli eretici; e per entrare nel loro paese bisognasse deporre l’abito. Così va a Mantova, poi ad Aosta, e dice all’Italia un addio, che il Beverini stemperò in suo prolisso latino. Tosto che frà

  1. Puccio Antonio fiorentino, vescovo di Pistoja e cardinale.
  2. Manuscritto nella biblioteca di Siena.