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orazione quando si credea che l’imperatore Ferdinando, Filippo di Spagna ed Enrico di Francia radunerebbonsi a Milano per conciliare la pace; dove loda questa, e spera nel Concilio e nel convegno coi papa. Anche lettere dirigeva ai regnanti, con grandi encomj agli imperatori austriaci, e speranza ch’essi conserverebbero la pace e osteggerebbero i Turchi.

A Milano rimase sette anni, e, fra altri, diede per tema a due suoi allievi di combattere e difendere la legge agraria. Abbiamo a stampa la tesi colla traccia data da lui, e le due declamazioni di Lodovico da Rho e di Carlo Sauli, uno che fa da Tiberio Gracco, l’altro da Marco Ottavio (Milano, 1567). Compose pure un’orazione contro Lucio Murena, che l’Olivet dice non discernersi dal latino di Cicerone.

Gli scritti del Paleario son sempre latini, diretti ad introdurre il gusto classico, e perciò intinti del paganesimo dominante nelle scuole: e fin nell’epitafio di sua moglie mescola Cristo coi Campi Elisi1. Ma in tutte quelle scritture noi cercammo invano lo svolgersi del suo spirito nelle nuove idee, nè cosa che accenni a’ suoi legami co’ Protestanti. Ben è narrato che scrisse l’Actio in pontifices romanos et eorum asseclas nel 1542, quando trattavasi di raccorre il Concilio di Trento, non pubblicata che ventisei anni dopo la sua morte e cinquanta dopo scritta.

«Replicate mie lettere degli anni passati agli Svizzeri e ai Tedeschi (dic’egli in questa press’a poco) palesarono le mie speranze e i sentimenti e disegni miei. Dio, padre di Nostro Signor Gesù €risto, m’è testimonio ch’io desiderai da molto tempo che i principi cristiani presedessero a radunanza di persone di gran pietà e dottrina, innanzi alle quali potessi rendere la mia santa testimonianza, pronto anche a spargere il sangue per Gesù Cristo. Ma vedevo essi principi occupati in altro: e sentendo avvicinarsi la fine mia, scrissi la mia testimonianza e l’atto d’accusa contro i papi, affinchè, se la morte mi sopraggiunge, potesse giovare a’ miei fratelli. Depongo questo scritto nelle mani d’uomini santi e fedeli, che lo conservino, finchè

  1. Ni mihi spem Christus faceret, quem vita secuta est,
         Non possem abrupto vivere conjugio.
    Ille mihi te olim redituram in luminis oras
         Pollicitus, dulci pascit amore animum.
    Interea Aonium venientem cursibus ad te
         Expecta campis, uxor, in Elisiis.