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cagliostro | 17 |
i tuoi santi decreti. Insegnami a temere, più che l’inferno, ciò che la coscienza mia mi vieta, e preferir al paradiso ciò ch’ella m’impone».
Era dunque un pretto deismo, come in tutte le sètte mistiche del secolo XVIII uscente. Ma vi mescolò impostura, artifizj da necromante; per giustificar le ricchezze fingeva alla fin d’ogni mese ritirarsi per due giorni, e all’uscirne mandava vendere verghe d’oro, % che alla pietra di paragone erano più fine che quello dei luigi; introdusse una quarantena di rigenerazione fisica e morale: spacciò
cento talleri, patto che se n’andasse subito. Difilossi allora verso la Turchia, ma in Moravia arrestato per sospetto, fu dall’imperatore consegnato al nunzio pontifizio, che lo spedì a Roma, con promessa gli sarebbe salva la vita. Al giudizio comparve ben in arnese, «con un vestito di moàro fiorato nero, con un’ongberina dell’istesso, ben fornita di guarnizione: la sua statura è alta, ben proporzionato di membra; capelli neri e ricci, viso tondo, carnagione bianca, sembiante maestoso». Fu tenuto per pazzo ed obbligalo solo a solenne abjura l’ottobre 1672, condotto a Loreto a far amenda presso la Beata Vergine, poi condannato a recitar salmi e credo, e chiuso in prigione perpetua. Quivi restava sempre oggetto di curiosità, e il duca d’Estrée ambasciadore di Francia, gravissimamente malato, ne chiese un consulto; e guarito, impetrò fosse detenuto semplicemente in Castel Sant’Angelo; anzi potesse uscir qualche volta a visitare malati, e tenere corrispondenze. Morì il 20 agosto 1695.
Le dottrine sue sono deposte nella Chiave del gabinetto del cavaliere G. F. Borro, col favor della quale si vedono varie lettere scientifiche, chimiche e curiosissime, con varie istruzioni politiche, ed altre cose degne di curiosità, e molti segreti bellissimi (Colonia, 1681); e sono dieci lettere che fingonsi scritte a persone qualificate intorno ai segreti della grand’opera. Per la quale Olao Barch non esita a chiamarlo «phoenicem naturæ et gloriam non tantum Hesperiæ suæ sed Europæ». Ma essa fu stampata da altri durante la sua prigionia, ed è strano come, mentre vi discorre degli spiriti elementari, della pietra filosofale, di cosmetici e panacee, mostri beffarsi delle scienze occulte, e «aver sempre sospettato fossero piene di vanità»: ma si giovò della credulità universale; «e così (dice) mi trovai ben tosto un grand’uomo; aveva per compagni principi e gran cavalieri, dame bellissime e delle brutte ancora, dottori prelati, frati, monache, infine persone d’ogni serie. Alcuni inclinavano a’ diavoli, altri agli angeli; alcuni al genio, altri agli incubi; alcuni a guarire d’ogni male, altri alle stelle; alcuni ai segreti della divinità, e quasi tutti alla pietra filosofale». Certo e’ profittava dei creduli, come fanno i ciarlatani de’ nostri giorni.
Vedi Vita del cavaliere Borri, p. 334. Forse è opera del Leti, come l’Ambasciata di Romolo ai Romani, libro rarissimo stampato a Brusselles il 1671, e mal attribuito al Borri, del quale vi va unito il processo. Questo fu riprodotto nella Amœnitates litærariæ, tom. V, pag. 149, e nella Historia d’Italia del Brusoni (Torino, 1680, da pag. 724 a 732) «perchè veramente di nessun altro eresiarca si leggono tante e sì stravaganti follie nelle materie di fede».