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sofi, venuti apposta a trovarlo a Colle; ma di ciò l’imputarono gli zelanti, cercando avversargli il popolo e il duca, con quelle arti d’invidia che non rifuggono da infamia veruna. Le loro macchinazioni, i furenti discorsi, le calunniose imputazioni, l’indignazione, l’amor proprio, la mortificazione resero il Paleario invelenito contro i nemici, e le sue corrispondenze, massime con Lelio Bellanti e Pterigi Gallo, svelano cogl’intrighi degli altri anche l’irrequietudine di lui. Singolarmente levò rumore coll’attaccare un tale ecclesiastico, il quale, assiduo a prostrarsi davanti a reliquie, non pagava poi i suoi debiti.

Tutto ciò può aver esacerbato gli animi e predisposto alle persecuzioni che gli costarono sì caro. Sentivasi egli chiamato a qualcosa meglio che insegnar latino e greco1: ricorreva per protezione o difesa al suo arcivescovo Bandini e al Sadoleto; e viepiù gravato dai mali pubblici, giacchè i Turchi sbarcarono minacciando Orbetello e Siena, lagnasi d’aver dovuto lasciare la patria e ogni cosa diletta.

Il Sadoleto s’accorse del trascender d’opinioni del Paleario, e l’ammonì, ma egli non vi fece mente, e seguitò manifestandole. «Colta dice che, se mi si lascia in vita, più non resterà vestigio di religione in Siena. E perchè? perchè, domandato qual fosse la prima cosa in cui gli uomini dovessero cercar la loro salvezza, io risposi, Cristo; domandato qual fosse la seconda, risposi, Cristo; quale la terza, ed io ancora, Cristo».

Di qui trapela l’idea che è svolta nel Trattato del beneficio della morte di Cristo, che cominciò di quel tempo a correre per Italia, senza nome «acciocchè più la cosa vi muova che l’autorità dell’autore ». Quell’opuscolo a moltissimi fu attribuito; ed è uno de’ libri di più bizzarra fortuna, talchè potrebbe prendersi a simbolo delle vicende della Riforma in Italia. Dato fuori nel 1542; stampato poco dopo e diffuso, dicono, a quarantamila esemplari, pure si riusci a sopprimerlo a segno, da più non trovarsene esemplare; lo Schölhorn e il Gerdes, tanto solleciti raccoglitori in questo genere, nol seppero

  1. «Moriar si me non angunt putidissima interpretationes mese, sive græcæ sive latinæ. Semper judicavi sordidum et obscurum iis, quorum ingenio aliquid fieri potest illustrius, si interpretandis scriptis aliorum humiles ac demissi quasi servitia ancillentur. Sed cum mihi res domi esset angusta, uxor lauta, liberi splendidi, et propterea magnos sumptus facerem, mancipavi prope me studiis iis, a quibus semper abhorrui». Epist. 4, lib. IV.