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malversazioni e di congiura; ma gli avversari ritorsero l’accusa contro lui stesso, che n’ebbe nuova occasione a sfoggiare eloquenza. Da quel senato fu assunto pubblico precettore di lettere greche e latine, poi di filosofia. Colà attinse le idee ereticali dell’Ochino, e le diffuse a Colle in Val d’Elsa, dove avea tenimenti, e a San Geminiano. Fece un poema in tre canti sull’immortalità dell’anima, in cui il sacro è misto col profano, e invocato Aristotele a guida nella pericolosa ricerca. Lo dedicò a Ferdinando re de’ Romani, e i critici lo paragonavano al Vida e al Sannazaro; il Vossio lo qualifica di divino e immortale. Ne mandò un’edizione scorretta al cardinale Sadoleto suo patrono, pregandolo inducesse lo stampatore Grifio a farne una migliore. Quegli in fatto raccomandò caldissimamente un tal libro, di sapore lucreziano; nulla esservi che non fosse detto latinamente, e non mostrasse giudizio e diligenza: multaque præterea ubique nitentia ingenii et vetustatis luminibus, et, quod ego pluris quam reliqua omnia facio, Christiana mens, integra castaque religio, erga Deum ipsum honos, pietas, studium, in eo libro vel maxime non solum docere mentes errantium, sed etiam animos incendere ad amorem puree religionis possunt.

All’autore poi scrivea non aver letto opera a’ suoi tempi che gli piacesse più del poema di lui, e, — Come il volto pacato e costante nell’uomo è indizio di mente ben affetta e di probo animo, così cotesta tua egregia pietà verso Dio, che s’appalesa ne’ tuoi scritti, ci obbliga a fare insigne stima di te, d’ogni senso dell’animo tuo, e della eccellente dottrina»1.

A Roma Aonio ebbe grandi amici il Mauro d’Arcano e il Berni, e i suoi versi leggevansi con delizia nell’Accademia de’ Vignajuoli e in privati banchetti, siccome quello che, nel 1531, diede il Musettola traduttor di Lucrezio, dove non si bevve altro che vino raccolto a Napoli dalla vigna del Pontano.

Tornato a Siena, il Paleario sperò esservi fatto professore, ma si trovò contrariato. Esercitò acerbe contese con uno ch’egli intitola Maco Blaterone, contro del quale pur si avventò Pietro Aretino. Aonio risedeva a Geciniano e a Colle, ove di trentaquattro anni sposò Maria Guidotti con seicento fiorini di dote: e n’ebbe due figli e due figliuole. Amava disputare sull’anima, e n’ebbe parole con alcuni filo-

  1. Sadoleti, Epist. 25, lib. V.