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Avendo tali persuasioni è facile credere che tentasse qualche novità: più facile che ne venisse sospettato; novità diretta a sovvertire la dominazione spagnuola in Calabria, benchè dappoi fosse lodatore esagerato degli Spagnuoli: e traendo divinazioni dagli astri, dall’Apocalissi, da varj santi, insinuava che nel 1600 accadrebbero grandi rivolture nel regno di Napoli. Fosse egli motore o stromento, si formò in fatti una cospirazione di trecento frati e quattro vescovi. Faceano la propaganda delle sue speranze fra Giambattista di Pizzoli, fra Pietro di Stilo, frà Domenico Petroli di Stignano ed altri venticinque domenicani del convento di Pizzoli; principalmente frà Dionigi Ponzio smaniava di levar tumulto per ammazzare certi frati che aveano fatto ammazzar suo zio: e valeasi delle parole del Campanella; poi preso, riuscì a fuggire, e si fe turco.

Costoro trovarono ascolto ne’ casali e tra le famiglie di Catanzaro, di Squillace, di Nicastro, di Cerifalco, di Taverna, di Tropea, di Reggio, di Cassano, di Castrovillari, di Sant’Agata, di Cosenza, di Terranova, di Satriano, insomma in quasi tutta Calabria. Già milleottocento banditi eransi raccolti, e ogni giorno altri se ne ragomitolavano; tenevansi intelligenze colla flottiglia turca del bascià Cicala. Trucidati i Gesuiti e i frati che non aderissero, prosciolte le monache, bruciati i libri, fatto statuti nuovi, doveano fondar una repubblica, cui centro sarebbe Stilo, patria del Campanella, appoggiati dai Francesi, come sempre i sommovitori dell’Italia.

Fernando Renitz de Castro, vicerè di Napoli, n’ebbe notizia, e fece arrestare i rei ed impiccare alle antenne delle galee. Il Campanella, ch’erasi rimbucato in un pagliajo, fu denunziato e consegnato al nobile Carlo Spinelli, eletto commissario speciale. I frati reclamarono il privilegio del fôro, onde salvi dalla forca, vennero dati al Sant’Uffizio. A questo spettava pure processare il Campanella, ma si volle far prevalere il delitto di Stato, e il fiscale Sanchez personalmente recossi a Roma onde ottenere che potesse venir torturato per quarantott’ore con funicelle sino alle ossa, stirato sulla corda colle braccia arrovesciate, e spenzolando sopra un legno acuto, e tagliatagli la carne, del che stette poi lunghissimo tempo malato. «Come s’arresterebbe il libero procedere dell’uman genere (esclama il Campanella) quando quarantott’ore di tortura non poterono piegare la volontà d’un povero filosofo, e strappargli neppur una parola che non volesse?»