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216 | illustri italiani |
e che s’invelenirono allorchè comparve poeta, mago, astrologo. Contro di essi cercossi un protettore, ricoverando in casa dei marchesi Lavello (1590). — Ivi (narra egli nella sua autobiografia) sotto gli occhi di Mario del Tufo suo figliuolo, scrissi due opere: l’una Del senso, l’altra Dell’investigazione delle cose. A scrivere il libro De sensu rerum mi spinse una disputa, avuta prima in pubblico poi in privato con Giambattista della Porta, lo stesso che scrisse la Fisionomia, il quale sosteneva che della simpatia e dell’antipatia non si può render ragione: disputa con lui avuta appunto quando esaminavamo insieme questo suo libro. De investigatione poi scrissi, perocchè a me pareva che i peripatetici e i platonici per un’ampia via conducessero, ma non per la diritta, i giovani alla investigazione del vero. Il perchè, col solo senso e colle cose che si conoscono pe’ sensi, le quali io riduceva a nove generi di cose sensibili, avvisava poter far sì, che ciascuno, non per mezzo de’ vocaboli, come faceva Raimondo Lullo, ma per gli oggetti sensibili giungesse a ragionare, e la definizione essere inizio d’insegnamento ed epilogo di scienza da esporre altrui; quindi essere essa fine, non principio di scienza. Scrissi di poi un certo esordio di nuova metafisica, nel quale statuiva principi metafisici la necessità, il fato e l’armonia. Similmente inaugurai la filosofia pitagorica con un carme lucreziano, mosso veramente dalla lettura di Occello Lucano e dai detti de’ platonici. Ma nell’anno 1592 mi accusarono dicendo: Come sa di lettere costui, che mai non le imparò?
E prosegue: — Essendo inquieto, perchè mi sembrava una verità non sincera, o piuttosto la falsità in luogo della verità aggirarsi nel peripato, esaminai tutti i commentatori di Aristotele, greci, latini ed arabi, e cominciai a dubitare viepiù dei loro dommi, e perciò volli indagare se le cose che essi dicevano, ancora si leggessero nel mondo, che dalle dottrine de’ sapienti aveva appreso esser codice di Dio, vero. E poichè i miei maestri non potevano soddisfare ai quesiti che io traeva fuori contro i loro insegnamenti, statuii percorrere io stesso tutti i libri di Platone, di Plinio, di Galeno, degli stoici, de’ seguaci di Democrito e principalmente i telesiani, e paragonarli col codice primario del mondo, affinchè per l’originale ed autografo conoscessi che cosa gli esemplari contenessero di vero o di falso. Imperocchè quando io disputava in Cosenza, nonchè privatamente co’ miei frati, trovava poco di certo nelle loro risposte.